Sommario

venerdì 29 novembre 2019

Sospiro di vita

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 364

Un post che parte da lontano. Dal 22 Ottobre 2019 quando, dopo una settimana di sofferenze nelle mani dello Stato, moriva Stefano Cucchi. A seguito di un fermo e di una perquisizione cominciava la sua odissea. Dopo la sua morte invece cominciava l’odissea della sua famiglia, come se la morte di un figlio/fratello non lo fosse già di per sé. Omissioni, false dichiarazioni, forse depistaggi e sicuramente indagini poco conclusive hanno prolungato lo strazio di una famiglia per dieci lunghissimi anni. Anni in cui su Stefano e la sua storia è stato detto di tutto (basti vedere le dichiarazioni di Giovanardi e Salvini come “illuminato esempio”). Commenti e dichiarazioni come in una sorta di sport nazionale del giudizio al volo ed in cui anche sua sorella Ilaria è stata messa nello stesso mirino ma non si è lasciata condizionare. Ha portato avanti, a nome della sua famiglia e di Stefano, una vera e propria battaglia per la verità, partendo dalla foto del fratello sul tavolo dell’obitorio. “Se CNRmedia non avesse pubblicato quella foto, la vicenda Cucchi molto probabilmente non sarebbe esistita”. Nessuno può avere la controprova ma visti i percorsi della vicenda, non è difficile immaginare che abbia ragione. Ed immaginare che la verità di una storia del genere sia legata alla scelta editoriale di una testata, beh fa riflettere, con molti brividi. 
La forza e la perseveranza di Ilaria hanno fatto il (tanto) resto e dalle prime indagini finite nel nulla, si sono aperte nuove piste ed i relativi processi che hanno visto la sentenza di primo grado lo scorso 14 novembre. Colpevoli. Di omicidio preterintenzionale. Due carabinieri che avevano effettuato l’arresto condannati a dodici anni ed all’interdizione perpetua dei pubblici uffici. In attesa del ricorso in appello degli stessi Di Bernardo e D’Alessandro e del nuovo processo per depistaggio per otto esponenti dell'arma (falso ideologico, omessa denuncia, favoreggiamento) sembrava per Ilaria e la famiglia arrivato il momento del “sospiro di vita” che più o meno mancava da quell’ottobre di dieci anni fa. “Stefano adesso può riposare in pace” aveva dichiarato appena uscita dall’aula Ilaria. Non aveva messo in conto il commento alla sentenza, altro sport nazionale. Il leader leghista, ex ministro dell’Interno, Matteo Salvini a chi gli chiedeva se non sentisse il bisogno di chiedere scusa rispetto ad alcune dichiarazioni del passato (“….quello che scrive Ilaria Cucchi mi fa schifo…si dovrebbe vergognare….difficile anche solo pensare che due carabinieri abbiano pestato quello lì per il gusto di pestare….”) ha risposto “se qualcuno ha sbagliato è giusto che paghi ma questa storia insegna che la droga fa male sempre e comunque” rincarando la dose al congresso del sindacato di polizia con un “ancora oggi si ricorda qualcuno che sarebbe stato in passato malmenato e non si ricordano poliziotti morti su cui nessuno mai farà degli speciali in TV”. Ilaria non ha fatto un passo indietro ed ha annunciato, e poi realizzato, una querela per diffamazione nei confronti dell’ex ministro dicendo sostanzialmente "NON CREDO CI FOSSE ALTRA SCELTA DA FARE"“Per mia madre e la sua sofferenza alle udienze e per mio padre e la sua fiducia totale nello Stato che lo ha portato ad auto-denunciare un figlio morto” ha motivato così la sua scelta, ben sapendo che si sarebbe ritrovata di nuovo obiettivo delle risposte del leader della Lega e purtroppo non solo. Alla sua dimostrazione di schiena dritta, coraggio e dignità hanno infatti risposto subito gli odiatori di professione, rigorosamente con account anonimo, che hanno minacciato di morte Ilaria “a questa stronza qualcuno metterà una pallottola in testa prima o poi”. Minacce probabilmente non così preoccupanti da farle assegnare una scorta (come dichiarato dall’attuale Ministro dell’Interno Lamorgese) ma che meriterebbero una presa di posizione netta di vicinanza da parte di tutti, anche da chi ha sempre un commento per tutto ma in questo caso stranamente è diventato afono. Magari perché troppo impegnato a dichiararsi contro la droga, argomento di cui è diventato portabandiera improvvisamente a 46 anni, considerazione la cui attinenza in questo caso è perfettamente valutata da un tweet di Luca Bizzarri “La sentenza Pacciani testimonia che andare in camporella é sempre e comunque pericoloso”.

Nessun commento:

Posta un commento