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sabato 5 giugno 2021

Oceano di sofferenza

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 439
Non esistono parole per un degno commento. La storia di Seid Visin è di quelle che non lasciano spazi all'immaginazione ma che fotografano perfettamente ed in modo crudo cosa sia la realtà in alcune situazioni. Quale siano le difficoltà dell'affrontare la vita in modo davvero umano o almeno provare a farlo quando si deve combattere contro la violenza becera e subdola.
Adottato da bambino da una coppia di Nocera Inferiore, Seid ha vissuto i suoi primi anni tra le coccole di una famiglia e di un'intera comunità che gli hanno dato la spinta verso il sogno di milioni di bambini/ragazzini: quello di giocare a calcio in una squadra importante. Poi qualcosa è cambiato. Nella lettera che ha scritto qualche mese fa viene spiegato come il clima intorno a lui si sia drammaticamente capovolto. Gli insulti, le umiliazioni, le prevaricazioni. "IL TUNNEL DEGLI ORRORI" di una parola che rimbomba anche solo a pensarla: razzismo. Intorno a lui non più la disponibilità all'inserimento di un bambino adottato ma l'odio verso qualcuno di considerato "diverso" per il colore della pelle. Tale e talmente forte da farlo sentire in obbligo di "prendere le distanze" nei confronti degli immigrati. Così feroce come stato d'animo da fargli sentire la necessità di metterlo per iscritto:
"...quando stavo con i miei amici, mi portava a fare battute di pessimo gusto sui neri e sugli immigrati. Addirittura con un'aria troneggiante affermavo che ero razzista verso i neri, come a voler sottolineare che io non ero uno di quelli, che io non ero un immigrato. L'unica cosa di troneggiante però, l'unica cosa comprensibile nel mio modo di fare era la paura. La paura per l'odio che vedevo negli occhi della gente verso gli immigrati, la paura per il disprezzo che sentivo nella bocca della gente, persino dai miei parenti che invocavano costantemente con malinconia Mussolini e chiamavano 'Capitano Salvini'. La delusione nel vedere alcuni amici (non so se posso più definirli tali) che quando mi vedono intonano all'unisono il coro 'Casa Pound'..."
Nella stessa lettera Seid non invoca commiserazione o pena ma vuole lasciare una traccia. Vuole aprire il sipario su un dramma che purtroppo non è una rappresentazione teatrale ma una tragica realtà, quello che lui stesso definisce perfettamente e tragicamente come un "oceano di sofferenza che stanno vivendo quelle persone dalla spiccata e dalla vigorosa dignità, che preferiscono morire anziché condurre un'esistenza nella miseria e nell'inferno...persone che rischiano la vita, e tanti l'hanno già persa, solo per annusare, per assaporare, per assaggiare il sapore di quella che noi chiamiamo semplicemente Vita".
Leggere oggi quelle parole e sapere che vengono dalla penna di quella stessa persona che ha deciso di togliersi la vita, stanco di sopportare sguardi scettici, gesti prevenuti e parole violente ed offensive strazia il cuore. Lascia sbigottiti. Rende attoniti in cerca di un po' d'aria fresca che tristemente sembra non poter arrivare. Seid e quell' "oceano di sofferenza" che lui stesso definisce il mondo degli immigrati vittime di soprusi e di ingiustizie sono una colpa clamorosa che in qualche modo abbiamo tutti. Colpevoli di non accorgerci davvero di cosa sta accadendo, di non impedire quell'emarginazione razzista che rende incapaci di andare avanti, di essere impegnati in altre priorità vuote che niente sono al riguardo. Insieme a tutti noi però "qualche colpa" ce l'ha anche chi sul fuoco di questa tragedia ha continuato e continua a soffiare e buttare benzina sopra. Qualcuno che per mestiere dovrebbe gestire la situazione e trovare soluzioni nell'interesse di essere umani come Seid. Già, perché se qualcuno se ne fosse scordato, di quello si tratta. Di essere umani

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