venerdì 26 agosto 2016

Attaccati

Kiave di lettura n° 198
Quelli che in questo periodo sono così buoni (o ironici?!?!) da chiamarmi "scrittore" e le cui parole di apprezzamento "SONO FINITE TUTTE" per riempirmi di orgoglio, spesso hanno usato frasi simili a "mi hai davvero emozionato".
Questo ovviamente altro non ha fatto che emozionare me, totalmente e con il pensiero che comunque fossero parole enormi.
Ecco, spero che nelle sensazioni di chi si è emozionato leggendo il mio romanzo, ci sia la stessa sensazione che ho provato io leggendo una cosa stamani.
Sarebbe un successo clamoroso, come clamoroso è stato l'effetto che leggere certe parole ha provocato in me.
Parole non patetiche, né "furbe", né sensazionalistiche. Parole vere che descrivono qualcosa di sentito, di profondo, di una persona totalmente....vera.
Mi riferisco al post del mio inviato romano, pubblicato su Vita a questa pagina.
Per questa settimana la mia kiave di lettura la lascio alle sue parole.

Buona lettura...


La mia notte ad Amatrice, restare attaccati all'unica presa rimasta libera di una ciabatta per caricare il telefono e alle stelle che si vedono da Amatrice la notte quando è tutto buio che sembrano le poche cose rimaste su, a quella frase scritta una volta da uno che si chiama Lev Tolstoj «Se c’è qualcuno che dirige le cose della vita, vorrei rimproverarlo. È troppo difficile e spietata»
È stata la volta che mi è venuto da pensare che, pure se è sottile ci si può ritrovare a sperare di riuscire ad attaccarsi ad un pelo d'acqua. È qui ad Amatrice, dove il mare più vicino é comunque tanto lontano, che gli schiocchi vengono da sotto i piedi e li fanno alzare di continuo, schiocco di terra dopo schiocco di terra.
E allora, l'unica cosa da fare, almeno adesso, è restare attaccati a qualunque cosa, anche qualcosa di sottile come un pelo d'acqua, come riuscire a vedere un abbraccio silenzioso e lungo tra chi ce l'ha fatta, al freddo della notte di un giorno iniziato troppo presto, a un cartoncino con scritto "primo soccorso" appiccicato a un palo, restare attaccati una coperta portata da chissà dove e all'ultima tacca di batteria di telefono per mandare la buonanotte a chi stanotte ha dormito (magari al caldo), restare attaccati all'unica presa rimasta libera di una ciabatta per caricare il telefono e alle stelle che si vedono da Amatrice la notte quando è tutto buio che sembrano le poche cose rimaste su, a quella frase scritta una volta da uno che si chiama Lev Tolstoj «Se c’è qualcuno che dirige le cose della vita, vorrei rimproverarlo. È troppo difficile e spietata», al fazzoletto di carta piegato tante di quelle volte per quanto ha fatto male quello schiocco, restare attaccati ai rumori dei cicalini continui dei superpowermezzi della macchina dei soccorsi e agli sdong dei pali e delle traversine di metallo che incrociate tra loro fanno una tenda. E dopo una notte così continuare a restare attaccati al thè caldo, al caffe, ai cornetti spaccati con dentro la Nutella per colazione.
Insomma restare attaccati, un'altra volta, dopo lo schiocco, come uno che è rimasto attaccato ad una lista.

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