#KdL - KIAVE di LETTURA n° 590 |
Eccoci qua. Dopo la Liberazione (clicca qui) ecco la festa del lavoro. Ad intermezzare la settimana di lavoro ed a ricordarci quanto la Costituzione prevede in tal proposito: "L'Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro". Previsione chiara e certa. Come quella del venticinque aprile e del relativo assunto "è vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista". E più o meno come nel caso di quanto detto per la settimana scorsa, anche per la base fondante della Repubblica, qualcuno si è un po' addormentato. Purtroppo.
Ma solo nella sostanza eh, mai nella forma. Ci mancherebbe. Perché le parole sono di ordinanza e ben strutturate. Come ogni anno iniziative, concerti, comunicati. Ed anche numeri. Già perché ogni volta in prossimità del primo maggio arriva il resoconto di quanto chi governa riesce a fare per la "priorità del lavoro". E come sempre chi è in carica (purtroppo qualunque sia la parte in causa) evidenzia i successi, i numeri positivi, i trend in crescita. E viene da pensare come sia possibile quindi che in giro ci sia tutta questa difficoltà sui posti di lavoro. Ragioniamoci. Non è mai accaduto che qualcuno abbia evidenziato problemi nel realizzare risultati in questo campo. Anni, decenni, di successi.
Eppure quando fai i conti con i dati "reali" e concreti il quadro è "DURO COME IL FERRO" e come questo freddo. Gelido. Il livello del lavoro è qualitativamente basso praticamente ovunque. Non per la prestazione ma per quello che la circonda. Livelli di stipendio e spesso anche grado di diritti che rasentano l'inaccettabile o ci sfociano dentro. Ma i numeri di chi li presenta rivendicano il + x,y di occupati. Chissà in che ambito, con che contratti, a quali "costi", per quale durate e con quali obblighi. Ma questo non conta mai.
Come evidentemente non conta nemmeno più quella che dovrebbe essere la base minima di decenza: la tutela della salute di chi la mattina (o la notte) si reca a svolgere "la base fondante della Repubblica democratica in cui viviamo". Ormai gli infortuni e le morti sul lavoro fanno notizia solo se il numero è consistente ed in modo contemporaneo. Allora si parla di tragedia. Singola. Come se quelle quotidiane degli altri giorni "non numericamente consistenti e contemporanee" non ci fossero. Lo stillicidio di ogni giorno passa inosservato. Ieri, ma è solo uno dei tanti esempi purtroppo, è morto sul lavoro un operaio di Brindisi di una ditta esterna (anche questa "l'è nova" si direbbe in fiorentino), intrappolato dal nastro di un macchinario. Leggendo (tra trafiletti e notizie in posizione defilatissima su praticamente tutti i mezzi di informazione, ovviamente) ho scoperto che è la stessa cosa che era successa a suo padre: attività diversa ma anche lui morto sul lavoro. Ormai fattore ereditario evidentemente. Tragicamente. Follemente. Ma gli incidenti e le morti sul lavoro ormai non fanno più parte delle cose da migliorare. Sembrano un ineluttabile costo da pagare per il Paese di cui ormai interessa poco o nulla a praticamente tutti. L'ha detto in modo chiaro Stefano Massini dal palco del concerto del primo maggio.
“In Italia quando muori sul lavoro, muori due volte: la prima quando muori e poi ogni volta che ti dicono che la colpa era la tua. Non solo due volte, ma anche tre, o quattro. La terza è quando non frega un ca**o a nessuno e fanno un trafiletto sul giornale, la quarta è quando ti accorgi che muori invano e da uomo diventi fotografia“.
Vi consiglio di vederlo tutto il suo intervento, perché merita davvero, aggiungerei PURTROPPO (lo trovate qui). E perché anche lui collega, con infinita superiore maestria, il primo maggio al venticinque aprile. I loro significati. Le loro unite mancanze. Lo sfascio a cui ci siamo ridotti, sconfessando gli articoli costituzionali che per lavoro e fascismo erano chiari e lucidi. E che sono diventati interpretabili ed interpretati ma soprattutto inapplicati ed oscuri. Come il male che li avvolge. Buona settimana del primo maggio. Dopo la buona settimana del venticinque aprile.
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