venerdì 22 luglio 2022

Trent'anni e tre giorni

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 497
Trent'anni e tre giorni. Tanto è passato da quel 19 luglio 1992. Quel giorno in Via d'Amelio a Palermo alle 16.58 si è interrotta la vita di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta quel giorno in servizio. In quell'esplosione è (purtroppo di nuovo) venuta meno la credibilità dello stato italico, che da allora ad oggi non è stata minimamente recuperata.
Avevo poco meno di sedici anni allora e ricordo esattamente dove mi trovavo ma soprattutto ho nella testa il commento che fece la persona che me ne parlò. "E' successo quello che da maggio stava raccontando a tutti". Allora non avevo le conoscenze e non potevo sapere se quella frase fosse vera o meno.  Ricordo solo che pensai con tristezza a quel giudice dallo sguardo fiero che avevo sentito commentare l'omicidio di Falcone con un tale trasporto e commozione da rimanermi addosso come una delle cose più vere ed intense che avevo ascoltato.
Dopo qualche anno capii che quel commento relativo alla previsione di Borsellino, era l'analisi perfetta di quello che era successo e soprattutto doveva essere la base su cui poggiare la partenza e l'attenzione delle indagini. Cosa che ovviamente ha preso invece percorsi diversi e paralleli, provocando depistaggi e processi poi finiti in annullamenti o in sentenze sempre e comunque parziali.
Negli anni, a parole, la vicenda dell'omicidio di Borsellino è stata tra quelle che hanno visto la maggiore attenzione dei media e delle dichiarazioni di facciata. Ma solo in un periodo specifico dell'anno, quello che va da maggio a luglio per poi svanire nei restanti mesi.
Anche per questo la figlia, Fiammetta, ha deciso di non partecipare alle commemorazioni dei giorni scorsi. "Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro. Dopo trent'anni di depistaggi e di tradimenti noi non ci rassegniamo e continueremo a batterci perché sia fatta verità sull'uccisione di nostro padre. Per questo motivo la mia famiglia ha deciso di disertare le cerimonie ufficiali sulle stragi del '92, non a caso mia madre non volle funerali di Stato, proprio perché aveva capito..."
Queste le sue parole in un'intervista a "L'Espresso" ed a margine della presentazione del libro "Paolo Borsellino - per amore della verità" di Piero Melati. Mettono i brividi queste e quelle con cui ha descritto come la sua famiglia fu oggetto di un vero e proprio "assalto alla diligenza" da parte di uomini dello Stato. La descrive come "una sorta di vigilanza nei nostro confronti, di tenerci buoni, di controllarci", racconto che altro non è che una fotografia allucinante della gestione del cosiddetto stato di quell'attacco subito dalla mafia. Evento che lo stesso Paolo Borsellino aveva perfettamente descritto e fotografato prima che avvenisse: “La mafia mi ucciderà quando i miei colleghi glielo permetteranno, quando cosa nostra avrà la certezza che sono rimasto davvero solo”.
Per questo ancora oggi rimane evidente che resta "BORSELLINO LI' NEL TEMPO" e null'altro. Perché sono trent'anni di schifo e vergogna istituzionale. Tali da portare la figlia (e non solo) a disertare le commemorazioni della morte del padre. Tali da far risuonare le parole dello stesso Paolo come delle accuse da cui è impossibile difendersi per tutti, ripeto TUTTI, quelli che da allora ad oggi non si sono spesi per cercare la verità, accantonandone la ricerca per una tesi di facciata che non contaminasse i poteri sensibili. Quelli che lui stesso così lucidamente individuava in quei giorni che corrono dal 23 maggio (l'omicidio di Falcone a Capaci) al 19 luglio (via d'Amelio appunto).
Per questo non solo il 19 luglio dobbiamo portare avanti la parola e l'insegnamento di Borsellino. Per questo dobbiamo far sentire a Fiammetta e non solo la nostra vicinanza. Per questo dobbiamo vergognarci di questo cosiddetto stato finché non ci dirà la verità.
tratto da "La repubblica delle stragi"
a cura di Salvatore Borsellino - ed. Paper First

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