domenica 31 luglio 2022

Tra gli avvincenti il più avvincente

#Klibro Luglio 2022
qui il mio intero
Katalogo
JO NESBO
"Il coltello"
Einaudi Super ET

Estate ed arriva Jo Nesbo. Per me appuntamento fisso da ormai diversi anni. E come tutte le cose si arriva anche all'ultima puntata. Almeno così sembra. 
Con la lettura infatti di "Il coltello" ho terminato gli appuntamenti con Harry Hole. E sono rimasto davvero colpito in modo speciale. Come sempre e più di sempreNon so se Nesbo avrà intenzione di riaprire in qualche modo la serie, so però che la conclusione data con questo libro è sicuramente all'altezza del percorso. 
La storia parte con un Harry di nuovo in condizioni "disperate" a causa del suo dover e voler rovinare sempre quello che negli attimi di positività riesce invece a costruire. Rispetto alle altre trame, oltre al crollo, arriva subito anche il colpo che sembra da k.o. per il poliziotto dal bicchiere, anzi dalla bottiglia, facile. Il peggiore degli scenari possibili si materializza davanti ai suoi occhi increduli. Immagini offuscate da ricordi nebbiosi che si mescolano con prove evidenti e tangibili. Coscienza sporca da colpevolezza o rimorsi che prendono il sopravvento amplificando a dismisura la realtà? L'indagine stavolta è davvero dura, perché più delle altre volte parte da dentro. Le prove si materializzano un po' alla volta ma esplodono come clamorosamente evidenti. Agli occhi di tutti e stavolta anche dei suoi che di solito riescono ad andare anche oltre. Per questo, ancora di più, serve lo sguardo della "leggenda dell'investigazione".
Colpi a sorpresa che come al solito non mancano e non si trovano mai dove anche un lettore affezionato si può aspettare. La bellezza dello stile di Nesbo è quella: la capacità di rendere sorprendente anche quello che in qualche modo immagini. Quando "LE LUCI SONO QUASI TUTTE SPENTE" o almeno credi, si accendono i fari di uno stadio, tutti contemporaneamente. Quando il sole è splendente da spaccare le pietre, nuvole temporalesche lo coprono portando acqua e vento.
Anche se sai dove vuol portarti, il romanzo ti ci porta lo stesso quasi a sorpresa. Alcool, amore, indagini, lacrime, sorprese. Tutto mescolato perfettamente con un ritmo che non scende mai sotto un elevato livello di attenzione ed interesse. Applausi veri. Il più avvincente degli avvincenti casi di Harry Hole. Consigliatissimo.

CINQUE CITAZIONI

1 - "...avevano trovato il tesoro l'uno nell'altra. L'amore. Quello con la a maiuscola, quello che è così esclusivo che devi essere strafelice se ti capita di provarlo - ed esserne ricambiato - una sola volta nella vita..."
2 - "...se fai un patto col diavolo dovresti chiederti perché secondo il diavolo è uno scambio conveniente..."
3 - "...i tatuaggi ti definiscono, ti costringono a mantenere le vecchie convinzioni..."
4 - "...aveva cercato di evitare la musica, non aveva acceso la radio neppure una volta, nè lì in casa, nè a bordo della Escort, aveva preferito il silenzio. Il silenzio per pensare. Il silenzio mentre si sforzava di intendere le parole della voce là fuori, oltre il buio.."
5 - "...se lui era Messi, Hole era stato Maradona. Un imbroglione ispirato da Dio. E per quanto brillasse, Messi non sarebbe mai diventato una leggenda della grandezza di Maradona..."

Mia personale VALUTAZIONE: ***** - cinque stelle su cinque

sabato 30 luglio 2022

Succede agli ultimi

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 498

Nel 2022 a trentanove anni si può morire soffocati e con la testa schiacciata in terra. In pieno pomeriggio. Lungo una delle strade principali di una città di medie dimensioni del centro Italia .
"TUTTA QUESTA MERDA" non basta.
Può capitare anche che questo ti succeda se non fai sostanzialmente niente per provocare la reazione inusitata e che la cosa ti accada nonostante tu abbia anche bisogno di una stampella per camminare.
Non basta ancora.
Addirittura ti può succedere che con quella stessa stampella tu venga colpito, prima di essere tenuto in terra nel modo brutale già detto.
Non è ancora sufficiente.
Per aggravare la situazione ulteriormente accade anche che la scena avvenga in mezzo a molte persone ma nessuna si muova per aiutarti o per provare a dividerti dal folle aggressore.
Ma non è il punto più basso.
Come colmo finale chi potrebbe darti un aiuto o intervenire per evitarti colpi, ferite e morte preferisce filmare il tutto sul suo telefonino, scattare foto o dire "basta" a debita distanza ma ben attento a tutta la scena.
Ecco, nel 2022 ti può capitare tutto questo schifo ben mescolato insieme. 
Ti può succedere più facilmente se appartieni alla categoria dei così definiti ultimi. Alika Ogorchukwu era un ambulante nigeriano con difficoltà motorie. E di elementi per essere così tristemente catalogato evidentemente ne aveva diversi. Sono stati i motivi per cui è stato aggredito? Indagini e riscontri daranno le loro versioni e le condanne saranno relative in tal senso.
Quel che è certo è che il clima generale di comunicazione folle e delinquente nei confronti dei cosiddetti diversi un peso deve pur averlo. Altrettanto innegabile è che la considerazione follemente portata ai limiti tollerabili del "è giusto farsi giustizia da soli" incide e non poco. Sicuramente l'ulteriore carico è quello che fondamentalmente certe persone sono in fondo considerate....meno. Meno importanti, meno bisognose di un gesto civile, meno umani. Ultimi appunto ed anche oltre.
Ed evidentemente a questi può succedere più facilmente quello che è successo ad Alika. Subendo l'odio di chi ti considera niente, con la violenza assurda di una morte per soffocamento e percosse, senza l'aiuto di nessun essere umano che preferisce immortalare il momento che salvarti la vita.
Ecco. Può succedere. Che a forza di fomentare odio e invocare violenza e giustizia sommaria poi arrivi davvero tutto insieme e si porti via qualcuno come Alika.

martedì 26 luglio 2022

Tranquilla

Il lato acido di questo blog

Brunetta, Carfagna, Gelmini. Questi i primi acquisti dello squadrone unico che punta a battere il centro-destra. Per la serie "Giorgia dormi tranquilla".

venerdì 22 luglio 2022

Trent'anni e tre giorni

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 497
Trent'anni e tre giorni. Tanto è passato da quel 19 luglio 1992. Quel giorno in Via d'Amelio a Palermo alle 16.58 si è interrotta la vita di Paolo Borsellino e degli agenti della sua scorta quel giorno in servizio. In quell'esplosione è (purtroppo di nuovo) venuta meno la credibilità dello stato italico, che da allora ad oggi non è stata minimamente recuperata.
Avevo poco meno di sedici anni allora e ricordo esattamente dove mi trovavo ma soprattutto ho nella testa il commento che fece la persona che me ne parlò. "E' successo quello che da maggio stava raccontando a tutti". Allora non avevo le conoscenze e non potevo sapere se quella frase fosse vera o meno.  Ricordo solo che pensai con tristezza a quel giudice dallo sguardo fiero che avevo sentito commentare l'omicidio di Falcone con un tale trasporto e commozione da rimanermi addosso come una delle cose più vere ed intense che avevo ascoltato.
Dopo qualche anno capii che quel commento relativo alla previsione di Borsellino, era l'analisi perfetta di quello che era successo e soprattutto doveva essere la base su cui poggiare la partenza e l'attenzione delle indagini. Cosa che ovviamente ha preso invece percorsi diversi e paralleli, provocando depistaggi e processi poi finiti in annullamenti o in sentenze sempre e comunque parziali.
Negli anni, a parole, la vicenda dell'omicidio di Borsellino è stata tra quelle che hanno visto la maggiore attenzione dei media e delle dichiarazioni di facciata. Ma solo in un periodo specifico dell'anno, quello che va da maggio a luglio per poi svanire nei restanti mesi.
Anche per questo la figlia, Fiammetta, ha deciso di non partecipare alle commemorazioni dei giorni scorsi. "Uno Stato che non riesce a fare luce su questo delitto non ha possibilità di futuro. Dopo trent'anni di depistaggi e di tradimenti noi non ci rassegniamo e continueremo a batterci perché sia fatta verità sull'uccisione di nostro padre. Per questo motivo la mia famiglia ha deciso di disertare le cerimonie ufficiali sulle stragi del '92, non a caso mia madre non volle funerali di Stato, proprio perché aveva capito..."
Queste le sue parole in un'intervista a "L'Espresso" ed a margine della presentazione del libro "Paolo Borsellino - per amore della verità" di Piero Melati. Mettono i brividi queste e quelle con cui ha descritto come la sua famiglia fu oggetto di un vero e proprio "assalto alla diligenza" da parte di uomini dello Stato. La descrive come "una sorta di vigilanza nei nostro confronti, di tenerci buoni, di controllarci", racconto che altro non è che una fotografia allucinante della gestione del cosiddetto stato di quell'attacco subito dalla mafia. Evento che lo stesso Paolo Borsellino aveva perfettamente descritto e fotografato prima che avvenisse: “La mafia mi ucciderà quando i miei colleghi glielo permetteranno, quando cosa nostra avrà la certezza che sono rimasto davvero solo”.
Per questo ancora oggi rimane evidente che resta "BORSELLINO LI' NEL TEMPO" e null'altro. Perché sono trent'anni di schifo e vergogna istituzionale. Tali da portare la figlia (e non solo) a disertare le commemorazioni della morte del padre. Tali da far risuonare le parole dello stesso Paolo come delle accuse da cui è impossibile difendersi per tutti, ripeto TUTTI, quelli che da allora ad oggi non si sono spesi per cercare la verità, accantonandone la ricerca per una tesi di facciata che non contaminasse i poteri sensibili. Quelli che lui stesso così lucidamente individuava in quei giorni che corrono dal 23 maggio (l'omicidio di Falcone a Capaci) al 19 luglio (via d'Amelio appunto).
Per questo non solo il 19 luglio dobbiamo portare avanti la parola e l'insegnamento di Borsellino. Per questo dobbiamo far sentire a Fiammetta e non solo la nostra vicinanza. Per questo dobbiamo vergognarci di questo cosiddetto stato finché non ci dirà la verità.
tratto da "La repubblica delle stragi"
a cura di Salvatore Borsellino - ed. Paper First

domenica 17 luglio 2022

Ultimatum fino al prossimo

#KdL -KIAVE di LETTURA n° 496
Leggendo quella che prima era chiamata la "pagina politica" dei quotidiani, mi è venuto da riflettere che è praticamente la prima volta che in un momento così particolare delle vicende governative, io sono in pratica all'oscuro di tutto. Non ho infatti seguito per niente quello che sta accadendo in questi giorni nella politica italiana o in quella che si ostinano a chiamarla così, non si sa bene perché.
Non è certo un vanto eh. Anzi me ne sento anche in parte "colpevole". Ma proprio non riesco ad immedesimarmi nell'attuale situazione. E la conseguenza automatica è quella di prenderne le distanze.
L'ultimo schieramento governativo in ordine di tempo, quello attuale del "(quasi) tutti dentro", era fortemente indiziato, sin dall'inizio, di mostrare le crepe e le distanze di posizioni politiche neanche vagamente (in teoria) vicine da parte dei partiti che lo compongono. Qualche scricchiolio c'è stato in effetti, ma sempre rientrato nell'ottica della continuità di un esecutivo guidato da un presidente del consiglio da tutti invocato come l'unico in grado di portare la barca in porto: San Draghi dalla banca d'Italia e non solo. Per questo, soprattutto dopo la conferma di Mattarella al Quirinale, la strada verso la fine della legislatura sembrava libera da intoppi ed abbastanza dritta da percorrere.
Ed invece.
Invece, come ormai è cosa straordinaria solo nella ripetizione degli eventi, ecco la crisi. "UN ALTRO GIRO DI RUOTA" dopo quelli già vissuti due volte in questa legislatura, per di più iniziata con consultazioni infinite per trovare una maggioranza. La stessa è poi andata in crisi ed è stata sostituita da una che si è formata, ha governato ed è anch'essa andata in crisi per venire rimpiazzata da quella dell'illuminato di cui sopra. Che come nelle esperienze precedenti ha fatto il suo compitino e come le altre, ha rassegnato le dimissioni post ennesima crisi. Tutto questo balletto in meno di quattro anni di legislatura. 
Il dramma è che non è niente di nuovo. Basta pensare alle precedenti legislature. Un simpatico vezzo della cosiddetta politica italiana, quello in cui nella maggioranza governativa a turno qualcuno si impunta, spesso su provvedimenti che appaiono non così vitali rispetto ad altri voti dati anche contro i propri principi politici, e punta ad un nuovo Governo dove spera di aver un ruolo di maggiore peso. O anche no, basta evidentemente dare quel segno di "vita", agli ipotetici propri elettori che nel frattempo invece spariscono. 
Adesso quindi ripartono colloqui più o meno formali, ipotesi più o meno reali, alchimie più o meno incomprensibili. Chi prima era per "se cade il Governo è giusto tornare alle elezioni" adesso è per il "rimpasto", chi nei precedenti casi era possibilista sul "trovare un altro Governo per il bene del Paese" a questo giro è duro e puro sul "dobbiamo per forza sentire il parere degli elettori". Ovviamente con dichiarazioni e prese di posizioni intransigenti e coerenti come un camaleonte di fronte alle prede....o ai predatori.
Tutti pronti a guardare il proprio ritorno elettorale, spesso da prefisso telefonico, facendo passare il proprio percorso come quello illuminato di un gruppo politico con a cuore il bene del Paese. Che adesso è raggiungibile con una posizione esattamente opposta alla precedente linea che veniva venduta come l'unica possibile giusto una crisi fa. E per ottenere quanto professato come scelta salvifica sono pronti a lanciare i loro ultimatum. Definitivi e finali. Fino ai prossimi.
Nel frattempo la gente non li segue più. Non capisce i perché. Non comprende le posizioni. Non si fida più. Sostanzialmente di nessuno. Ma quelli di cui ormai non si fida più nessuno non hanno capito. E continuano, scambiandosi i ruoli e le dichiarazioni, come in un copione unico di varie commedie....anzi tragedie.....dalle porte girevoli.

domenica 10 luglio 2022

Lettera da diffondere

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 495
Nelle settimane scorse avevo già scritto della vicenda di Gaia Nanni (vedi il post di una settimana fa). Cercando di dire la mia e cercando di fare arrivare alla stessa Gaia la mia indignazione per come questa vicenda l'avesse vista vittima due volte. In modo crudele dal punto di vista burocratico e personale la prima volta, dal punto di vista umano e sociale la seconda dopo la sua meritoria presa di posizione.
Come sempre "LE DONNE LO SANNO" meglio e quindi Marina Capponi e Daniela Morozzi sono riuscite nel mio intento in modo nettamente migliore. Hanno infatti pubblicato una lettera aperta a Gaia ed a tutte le Gaia del mondo
Una lettera di scuse, di indignata vicinanza e di impegno a lottare per quello che dovrebbe accadere e che invece non accade. Una presa di posizione ed un impegno vero e proprio. Che mi va di sottoscrivere e di rilanciare.
Le parole usate da Daniela e Marina sono perfette e centrate. Per questo le faccio mie e le riporto integralmente in questo post. Per Gaia e per tutte le Gaia. Perché su tali diritti dobbiamo costantemente ed attentamente vigilare. TUTTI.

Cara Gaia,

dolcissima, ironica, coraggiosa amica. Questa è una lettera di scuse.

 Certo, s’intende, è anche una presa di posizione forte, indignata, furiosa, veemente, accanto a te, al tuo fianco.

 Ed a sostegno di tutte le donne che, come te, hanno vissuto un’esperienza come quella che hai sentito la necessità di raccontare, della quale qualche idiota inqualificabile ha ritenuto non si dovesse avere rispetto.

 A tutte voi dobbiamo delle scuse. Noi, donne che ci riteniamo progressiste, abbiamo mancato. Eravamo convinte, ingenue! Che i diritti civili, frutto di tante battaglie nostre, delle nostre madri, delle nostre nonne, fossero intangibili e fluissero verso il sol dell’avvenire come un fiume inarrestabile. E tra questi, che l’autodeterminazione delle donne ed il loro diritto a disporre liberamente del proprio corpo splendessero fulgidi e duri come il diamante.

 Ci eravamo illuse che quella straordinaria stagione di riforme che negli anni 70 ha portato la legge n. 194 (del 1978), consentendo alla donna di scegliere, in sicurezza e riservatezza, di non portare avanti una gravidanza, ma anche il nuovo Diritto di Famiglia (del 1975), la legge sulla maternità nel lavoro (del 1971), la parità uomo-donna nel lavoro (del 1977), non potesse che continuare a fiorire. Che fosse ineluttabile andare sempre avanti. Che tutte quelle leggi di civiltà, con le quali si dava finalmente attuazione ai principi della Carta Costituzionale nata dalla Resistenza, fossero una conquista acquisita, intangibile, uno zoccolo duro su cui costruire un domani migliore per tutte e tutti.

 Ci ha pensato la Corte Suprema degli Stati Uniti a darci la dimensione plastica delle volatilità delle conquiste in materia di diritti civili e sociali. Mostrandoci come sia stato facile per 5 giudici conservatori con una sola sentenza, la Dobbs, demolire un caposaldo quale il diritto (federale) all’aborto, che resisteva dagli anni ’70 dopo la famosa pronuncia Roe vs. Wade. Facile, come entrare armati e incontrastati a Capitol Hill con un berretto di pelliccia in testa e devastare tutto.

 Che doccia fredda. Pare che non sia finita qui, in pericolo ci sono altre conquiste delle donne e degli uomini americani, come l’uso della contraccezione ed i matrimoni fra persone dello stesso sesso. Da oltreoceano ci vengono segnali inquietanti e come in passato, nel bene e nel male, spesso sono anticipatori di quello che accadrà dopo poco anche in Europa. Le donne ucraine stuprate, rifugiate in Polonia, quando supplicano di poter abortire, sono già in difficoltà. Non è un caso. E’ lo spirito dei tempi? Francamente lo temiamo.

 E nel nostro Paese cosa sta succedendo? Non vi è dubbio che i diritti sanciti da leggi dello Stato devono essere rispettati e soprattutto resi effettivi. Un diritto se resta solo sulla carta, privo di applicazione concreta, è come se non esistesse.

 La legge n. 194/78 ha passato nel 1981 anche il vaglio di un insidioso referendum abrogativo. Pensavamo davvero che fosse una conquista intangibile, rafforzata dal consenso popolare. Eppure è stata erosa, svuotata dall’interno, depotenziata.

 Ricordiamoci come è intitolata, la Legge del 22 maggio 1978, n. 194: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza. Al primo articolo si stabilisce che lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. Che l’interruzione volontaria della gravidanza, non è mezzo per il controllo delle nascite. Che lo Stato, le regioni e gli enti locali devono promuovere e sviluppare i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che l’aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. Che per la prevenzione e gli accertamenti vi deve essere un sistema di consultori sul territorio, capillare, facilmente raggiungibile.

 Ricordiamoci che prima del 1978 l’aborto volontario era un reato. Relegato nella clandestinità. Di aborto si moriva. La legge interviene per prevenire, ma quando la gravidanza è indesiderata e la donna riporti “circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito”, così recita il testo della legge (the black letter of the law, come dicono gli americani), vuole sottrarre la donna in difficoltà alle mammane, al rischio di perdere la propria salute o addirittura la vita. Abortire non è una passeggiata, mai. Ed ecco la costruzione di un sistema di interventi di prevenzione, incentrato sui consultori, sulla contraccezione e poi, se si arriva all’extrema ratio, sulla garanzia di un saccoglienza sanitaria rispettosa e gratuita, in sicurezza e riservatezza.

 E così per lungo tempo è stato, con un crollo verticale delle interruzioni di gravidanza clandestine ed una enorme diminuzione progressiva degli stessi aborti legali.

 Ma noi, che illuse eravamo! Pensavamo che, visti i risultati, l’impianto della legge fosse solido, duraturo, condiviso, che le risorse a lei destinate venissero nel tempo garantite.

 Eppure, oggi in Italia, ed anche nella nostra civilissima Toscana, non siamo riusciti a mantenere il livello di assistenza pensato dal nostro legislatore affinché la legge raggiungesse i suoi obiettivi.

 In certi territori i consultori non esistono e l’obiezione di coscienza, il cui diritto previsto dalla stessa legge 194 nessuno vuole contestare, impedisce di fatto lo svolgimento del servizio. Neanche un medico o un infermiere disponibile. Chi per spirito di servizio si impegna su tale fronte finisce relegato in un ghetto professionale dal quale non riesce ad uscire. Medico abortista! Uno stigma sociale, non solo per le donne, anche per i sanitari che svolgono la loro pubblica funzione. Inammissibile.

 Non puoi abolire l’aborto. Puoi solo abolire l’aborto sicuro. Questa è la verità. Le donne purtroppo si troveranno sempre dinanzi a questo dilemma. Per motivi privati, dolorosi, insondabili, insindacabili. Che hanno diritto di non rivelare, se non vogliono. Ma le donne hanno diritto, grazie ad una legge dello Stato, ad essere accolte in riservatezza in una struttura ospedaliera gratuita e sicura, dove ricevere assistenza secondo i migliori protocolli. E sì, se ve ne sono le condizioni sanitarie, anche dove poter ricevere un farmaco da assumere nella propria abitazione, con tutte le cautele del caso, evitando ricoveri e inutili medicalizzazioni. E senza subire atteggiamenti moralistici, senza essere interrogate, sondate, giudicate da chicchessia. Senza dover percorrere centinaia di chilometri per trovare una struttura ospedaliera accogliente. E senza che alcuno ostacoli, in fatto e diritto, la loro libertà di scelta. E dopo, hanno diritto al silenzio, all’oblio. Ad elaborare la loro esperienza dove e come vogliono, nel rispetto. Anche a parlarne, se ciò sembra loro necessario o opportuno, ma senza subire un pubblico linciaggio.

 “Non dimenticare mai che una crisi politica, economica o religiosa, sarà sufficiente per mettere in discussione i diritti delle donne. Questi diritti non saranno mai acquisiti. Dovrai rimanere vigile per tutta la vita ” diceva Simone De Beauvoir. Come è vero.

 Oggi, se parli di diritti civili da difendere, ti sentirai rispondere che “ben altri” e più importanti sono i bisogni delle persone, come le troppe tasse, l’inflazione o la bolletta del gas. Indubbiamente le criticità economiche ci sono, come negarlo?

 Ma nella scala delle priorità che lo Stato deve rispettare, cosa c’è di più importante della salute e dell’integrità fisica di cittadine e cittadini? E la legge 194 si prefigge proprio questo obiettivo, di impedire che le donne di aborto muoiano, come è sempre accaduto nei secoli dei secoli, come ancora oggi a volte accade, ma, per fortuna, in minore misura. Questa è, come dicono i giuristi, lasua ratio. E lo Stato democratico deve garantire che ad ogni donna siano offerte la stessa opportunità, a prescindere dal censo, dalla condizione economico-sociale in cui si trova. Perché al mercato dell’aborto clandestino si rivolgono le donne povere, le immigrate, le minori. A discriminazione si aggiunge discriminazione, anche sulla salute e sull’integrità fisiopsichica, sulla stessa vita.

 Già, le minori. I numeri dell’aborto minorile sono sconfortanti. Ci siamo illuse che la prevenzione arrivasse ai nostri giovani, che finalmente nelle scuole entrasse l’informazione sulla vita sessuale, la contraccezione, l’educazione all’affettività, finora delegati alle famiglie ed (ahinoi) ad internet. Nulla di tutto questo. La prevenzione è rimasta un tabù, una parola vuota. Dobbiamo scusarci anche con i nostri figli, maschi e femmine, per non aver fatto abbastanza, per averli lasciati soli in un frangente così delicato per la loro formazione.

 Scusaci Gaia, per non aver presidiato e sostenuto abbastanza il tuo diritto a scegliere, in quel particolare momento della tua vita, di non diventare madre. Di autodeterminarti, di disporre liberamente del tuo corpo. Di non doverti giustificare dinanzi a persone che ti definivano “quella”. Che ti giudicavano secondo la loro morale, invece di compiere il loro dovere, in una sanità laica, che ti lapidavano a parole, come si fa con le pietre verso le donne, ancora oggi, in certi paesi.

 E accanto a te scusa a tutte le “Gaia del mondo”, a Paola, Fatima, Leila, Claudia, Josephine, Silvia, Irina, Maria, Rosa, Brigitte, Jane e ancora nomi, e ancora donne , scusateci tutte ovunque voi siate, per non aver gridato più forte, nelle manifestazioni, nei cortei, nelle riunioni, nelle assemblee (perché ne abbiamo fatte tante, perbacco, s’intende) in difesa della legge 194, pretendendo, sì esatto, pretendendo che lo Stato, le Regioni e tutta la filiera dei presidi sanitari si assumessero ciascuno le loro responsabilità e garantissero l’effettività dei diritti che nella legge sono sanciti. Battendo i pugni sui tavoli. Chiedendo con veemenza più risorse, più attenzione, più controlli sull’efficacia dei servizi. Più fatti, meno parole.

 Intendiamoci, noi ai diritti civili ed alle garanzie abbiamo sempre creduto. Siamo convinte che quando in un Paese si rispettano i diritti delle donne, tutta la società progredisce, perché garantire i diritti delle donne fa avanzare i diritti di tutti. E di questo anche gli uomini devono essere consapevoli, di quanta strada ci sia ancora da fare, insieme, assumendosi ciascuno la propria responsabilità, con senso critico, senza sconti, facendosi carico, mettendoci la faccia.

 Oggi è evidente e necessario il fatto che dobbiamo tornare ancora nelle strade, nelle piazze, se occorre nelle aule giudiziarie, alzando la voce, per il diritto all’aborto, per la parità di trattamento nel lavoro, per la parità in famiglia, per la parità nella rappresentanza ecc. ecc.

 Come diceva Simone, vigiliamo, donne, vigiliamo, è necessario, per tutta la vita.

 Grazie Gaia e grazie a tutte le “Gaia” del mondo.

 Abbiamo molto da fare.

 Insieme.

lunedì 4 luglio 2022

Nato il quattro luglio

Esattamente sei anni fa, faceva capolino per la prima volta questa splendida copertina qua.
Un anno dopo in molti hanno lasciato il loro ricordo/la loro recensione, nell'ambito di una sorta di ritrovo virtuale tra lettori dal titolo "Nato il quattro Luglio" che ha portato a 38 contributi diversi e tutti clamorosamente apprezzati.
Oggi, abbassando lo sguardo sul monitor e vedendo la data mi sono tornati in mente i giorni della pubblicazione e la relativa enorme soddisfazione e l'attesa dei contributi.
Così mi è venuta voglia di riprenderli e leggerli nuovamente e mi si è aperto un gran sorriso, in modo spontaneo.
Per questo oggi mi va di fargli auguri e pubblicare questo post stile Facebook "accadde oggi" sperando che anche chi passerà di qui sorriderà nel rileggerli.

Buon sesto compleanno Sogni di Tricolor ... "E GUAI A CHI CI SVEGLIA".
Per saperne di più:

domenica 3 luglio 2022

Non solidarietà

#KdL - KIAVE di LETTURA n° 494
A seguito della preistorica e vergognosa sentenza della Corte Suprema americana, si è aperto un minimo spiraglio di dibattito sul livello dell'applicazione del diritto di aborto in Italia.
Purtroppo (come sottolineavo nel post della scorsa settimana) sempre troppo poco e poco incisivo rispetto a quello che l'importanza dell'argomento meriterebbe.
Ma in qualche modo una piccola luce ad illuminare l'argomento è stata accesa. Tra chi ha avuto il coraggio di fare click su quell'interruttore, Gaia Nanni attrice fiorentina. 
Gaia ha preso "carta e penna" ed ha scritto una sorta di denuncia partendo dalla sua esperienza diretta. Ha raccontato delle sue difficoltà nel portare avanti una scelta personale, nel calvario di intoppi burocratici e psicologici passati per realizzare attivamente la sua scelta. Per di più nella mia Firenze e nella Toscana che non è mai stata "zona troppo a rischio difficoltà" su questo argomento. Questo almeno secondo le considerazioni generali, evidentemente sbagliate. L'ha fatto per sensibilizzare sul tema anche qui da noi dopo che "le difficoltà" e lo scempio sembrava albergasse solo negli Stati Uniti. Ha detto "attenti che qui da noi le cose non vanno così tanto meglio, ve lo dico io che l'ho provato sulla mia pelle".  
Per "CERTE DONNE BASTANO" evidentemente le prese di posizioni per essere prese di mira. In modo ignobile. Vergognoso. Squadrista. E così purtroppo è stato per lei. Ricoperta di insulti prima, ricoperta di vandalismi la sua macchina poi. A certificare che il livello di arretratezza sull'argomento non è solo a livello burocratico, ma anche e TANTO a livello culturale e sociale.
La denuncia di Gaia è stata coraggiosa e forte perché ci ha messo la faccia e la sua storia personale. Ha reso pubblico un fatto privato per illuminare la realtà che devono affrontare donne nella sua stessa situazione. Un vero e proprio percorso ad ostacoli che sfiora il calvario a volte "solo" psicologico, a volte non solo di quel tipo. Sequenza che ha dovuto di nuovo rivivere lei per aver "osato" parlarne. 
Per fortuna sono arrivate anche risposte e testimonianze di donne che hanno vissuto lo stesso dolore e lo stesso percorso e che da quel post hanno tratto energia e forza. Ma non sono sufficienti.
No. Perché credo che mai come in questa occasione ad ogni Gaia esistente non serva solidarietà. Le parole in tal senso sono arrivate ma finiscono in un angolo dimenticato al primo alito di vento chiamato burocrazia o becera ignoranza o idiozia o vergogna.
Ad ogni Gaia servono tutele, facile applicabilità dei propri diritti, dignità, umanità e tanto e giusto rispetto. TANTO e GIUSTO. Una volta che avremo fatto i passi reali e concreti per darglieli, potremo anche aggiungere la solidarietà per eventuali gesti e situazioni non piacevoli. Fino ad allora però l'impegno deve essere quello di creare concretamente strumenti operativi affinché queste esperienze svaniscano nel dimenticatoio delle cose brutte. Fino ad allora questo spicchio di mondo farà decisamente schifo.